Realizzare uno strumento che, grazie agli algoritmi dell’intelligenza artificiale, riconosca i neonati a rischio di sviluppare la sindrome di Rett, una rara malattia neurologica, così di anticiparne la diagnosi e migliorarne la cura. Sono questi gli obiettivi di un progetto, finanziato dall’Unione europea nell’ambito del bando Next Generation EU, coordinato dall’Azienda ospedaliero-universitaria Senese (Aous) e a cui partecipano l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e l’Irccs Associazione oasi Maria SS. Onlus di Troina (Enna). La sindrome di Rett è un disturbo neurologico raro, ad oggi inguaribile, che colpisce circa una su 10/15.000 bambine a causa della comparsa di una mutazione spontanea nel gene MECP2.
Le pazienti hanno uno sviluppo normale fino a 6-18 mesi, età in cui compare una rosa di sintomi, come disfunzioni respiratorie e cardiache, epilessia, difficoltà comunicative, intellettive, di deambulazione e nell’uso delle mani. “Quando i sintomi sono ormai manifesti, il quadro clinico della malattia rara viene confermato da un test genetico – spiega Bianca De Filippis, leader del gruppo Iss – ma ciò significa che la diagnosi viene raggiunta dopo i due anni di età, ritardando l’accesso alle poche opzioni terapeutiche di supporto disponibili”. Pochissime informazioni sono state raccolte finora sullo sviluppo dei primi mesi di vita delle pazienti con sindrome di Rett, “si ritiene però – aggiunge – che esistano alterazioni precoci, seppur lievi, la cui caratterizzazione aiuterebbe ad anticipare i test genetici e ottenere una diagnosi precoce”.
Una mutazione nel gene MECP2, situato sul cromosoma X, sembra essere la causa più comune della sindrome di Rett ma alcune pazienti mostrano quadri clinici molto diversi fra loro. Alcuni studi hanno concluso che questo sia dovuto a rare varianti in geni diversi da MECP2 , ma manca ancora una validazione approfondita di questa ipotesi. Anche su questo farà luce il nuovo progetto di ricerca.